Passa ai contenuti principali

La morte di Palmiro Togliatti


Il 21 agosto 1964 muore a Yalta Palmiro Togliatti.

L’inviato de l’Unità, Giuseppe Boffa, racconta sul quotidiano le sue ultime ore:

"Yalta, 21 agosto - Erano le 13.20 al campo di Artek, quando il cuore di Palmiro Togliatti ha cessato di battere. Dopo una mattinata di sole, il cielo si era coperto di nubi. Un momento di tensione disperata gravava sulla palazzina dove Togliatti era stato ricoverato in questi giorni. Il silenzio era rotto solo dalle voci soffocate dei medici, dai singhiozzi dei familiari, dal rapido spostamento di qualche infermiere. Dopo otto giorni di accanita resistenza contro la morte, ancora non ci si rassegnava alla tragedia.

Nessuno parlava più. Ma i dottori non avevano ancora alzato le braccia. Tante volte, in questa terribile settimana, si era stati sul punto di pensare che non ci fosse più nulla da fare. Eppure, con sforzi disperati si era riusciti a evitare il peggio. Tutte le disposizioni erano state prese in precedenza per non abbandonare la lotta, neppure nel caso che fosse di colpo subentrata la morte clinica. Ed ora che ci si trovava proprio in questa circostanza, si continuava a tentare l’impossibile. I bravissimi medici della squadra di rianimazione ricorrevano a tutti i mezzi. Il defibrillatore, la macchina dei massaggi cardiaci, veniva messa in funzione. Per quattro volte si operavano iniezioni nell’interno del cuore. Col respiro artificiale, si cercava di mantenere in funzione i polmoni. Purtroppo, questa volta, nessuno sforzo poteva più essere coronato da successo.

Circa due ore erano passate dal momento della morte, quando il professor Markov, che aveva partecipato personalmente a questi estremi tentativi, usciva dalla stanzetta dove Togliatti giaceva ormai esanime, sulla piccola terrazza dove erano riuniti i familiari e i compagni che avevano assistito agli ultimi istanti di vita di Togliatti. Il medico sovietico, esausto e affranto, allargava le braccia e annunciava, con voce straziata, che più nulla poteva ormai essere tentato. La dolorosa realtà era di fronte a tutti: Togliatti era morto.

Temuta da otto giorni e allontanata di ora in ora, a prezzo di sforzi infiniti, la tragedia è giunta brusca, fulminea, quasi. La mattina si era aperta con qualche filo di speranza.

Dopo l’operazione di ieri, che il chirurgo stesso
aveva definito «un passo disperato in una situazione disperata», Togliatti aveva passato una notte tranquilla: il sollievo che nelle sue condizioni aveva portato l’intervento chirurgico si era manifestato con apparizioni più marcate della coscienza: Togliatti aveva dato segni di riconoscere le persone che lo circondavano e aveva emesso dei gemiti.

Ma, all’una del pomeriggio, la situazione precipitava. I medici erano d’un tratto in allarme. La respirazione si era fatta molto affannosa, poi del tutto irregolare. Veniva immediatamente ritentata la intubazione che aveva già salvato Togliatti, tre giorni fa, dall’insorgere delle complicazioni polmonari. Ma questa volta i risultati non erano più gli stessi. Anche il cuore, ormai, si muoveva all’impazzata: saliva a ritmi altissimi, ma perdeva il suo battito regolare. Si cominciava già allora la respirazione artificiale, ma neanche questa riusciva a rianimare il cuore che si arrestava definitivamente poco dopo.

Più tardi i medici hanno stabilito che la causa immediata di questa crisi fatale è stata un’altra emorragia cerebrale, che ha colpito e paralizzato i centri vitali del cervello. Era, questa, un’eventualità che si era temuta fin dal primo giorno e, ovviamente, si erano prese tutte le misure per scongiurarla. Purtroppo, neanche esse sono servite. L’organismo di Togliatti era tra la vita e la morte da oltre una settimana; più di una volta si era giunti sull’orlo della catastrofe. Il ricorso a tutte le possibili risorse della medicina moderna aveva allontanato a più riprese la tragedia. Il malato, per riconoscimento unanime di tutti i medici, aveva dato prova di una energia vitale eccezionale che, unita alle cure, aveva consentito di tenere distante la morte fino a oggi. L’organismo era ormai però duramente provato. Da più di una settimana, Togliatti era privo della parola, paralizzato negli arti destri, al limite fra il coma e un profondissimo sopore. Il nuovo colpo ha tagliato ogni possibilità di salvezza.

Al terribile annuncio, tutto il campo di Artek si è impietrito nel dolore. Il silenzio è tornato assoluto. Tutti erano sconvolti. Accanto a Togliatti erano rimasti fino agli ultimi istanti la sua compagna, Nilde Jotti, e la figlia adottiva Marisa. In tutti questi giorni entrambe avevano seguito con coraggio e decisione la difficile battaglia contro la morte. Ne erano state loro stesse partecipi. Nel loro dolore esse avevano vicini i compagni della direzione del Partito che con loro avevano vissuto l’angoscioso alternarsi di allarme e di speranze. Longo, Natta, Colombi, Lama erano presenti al momento della tragedia.

Ma il dolore dei compagni italiani non era solo. Tutti i sovietici presenti, tutti coloro che si erano prodigati senza risparmio in questi giorni, erano profondamente colpiti. Ho visto uno dei medici che è stato quasi sempre al fianco di Togliatti, lo stesso  che dirigeva la squadra di rianimazione e che era sempre intervenuto nei momenti più critici. Ci aveva impressionato per la sua forza e la sua risolutezza. Adesso aveva il volto disfatto  e piangeva. Come lui erano tutti: dottori, infermieri, interpreti, personale di servizio. La morte di Togliatti era una perdita per ognuno di loro".

Giuseppe Boffa, l'Unità  22 agosto 1964

Commenti

Post popolari in questo blog

Perché l’umanità ha sempre avuto paura delle donne che volano, siano esse streghe o siano esse libere

Ve le ricordate “le due Simone”? Simona Pari e Simona Torretta, rapite nel 2004 a Baghdad nella sede della Ong per cui lavoravano e rientrate a Fiumicino dopo cinque mesi e mezzo di prigionia. “Oche gulive” le definì un giornale (volutamente con l’articolo indeterminativo e la g minuscola!) commentando il desiderio delle due ragazze di ritornare alla loro vita normale precedente il rapimento. E Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, le due ragazze italiane rapite in Siria più o meno dieci anni dopo, ve le ricordate? Ve le ricordate ancora Carola Rackete, Greta Thunberg, Laura Boldrini, da ultima Giovanna Botteri? Cosa hanno in comune queste donne? Probabilmente tante cose, probabilmente nulla, ma una è talmente evidente da non poter non essere notata: sono state tutte, senza pietà e senza rispetto, lapidate sul web. Perché verrebbe da chiedersi? E la risposta che sono riuscita a darmi è solamente una: perché sono donne indipendenti, nel senso più vero ed intimo della parola. An

Franca Rame, Lo stupro

C’è una radio che suona… ma solo dopo un po’ la sento. Solo dopo un po’ mi rendo conto che c’è qualcuno che canta. Sì, è una radio. Musica leggera: cielo stelle cuore amore… amore… Ho un ginocchio, uno solo, piantato nella schiena… come se chi mi sta dietro tenesse l’altro appoggiato per terra… con le mani tiene le mie, forte, girandomele all’incontrario. La sinistra in particolare. Non so perché, mi ritrovo a pensare che forse è mancino. Non sto capendo niente di quello che mi sta capitando. Ho lo sgomento addosso di chi sta per perdere il cervello, la voce… la parola. Prendo coscienza delle cose, con incredibile lentezza… Dio che confusione! Come sono salita su questo camioncino? Ho alzato le gambe io, una dopo l’altra dietro la loro spinta o mi hanno caricata loro, sollevandomi di peso? Non lo so. È il cuore, che mi sbatte così forte contro le costole, ad impedirmi di ragionare… è il male alla mano sinistra, che sta diventando davvero insopportabile. Perché me l

Nel suo volto la storia dei cafoni

Pepite d’Archivio: ancora Gianni Rodari su Giuseppe Di Vittorio in un NUOVO, bellissimo testo da leggere tutto d’un fiato. Il brano, recuperato da Ilaria Romeo (responsabile dell’Archivio storico CGIL nazionale che lo conserva)  è tratto da «Paese Sera» del 3 novembre 1977 “Il 3 novembre del 1957 moriva a Lecco, dove si era recato per inaugurare la sede della Camera del lavoro, Giuseppe Di Vittorio. Ricordo la commozione di quelle ore, mentre la salma veniva trasportata a Roma per i funerali. Ricordo quei funerali. Roma ne ha conosciuti di più grandiosi. Quello di Togliatti, anni dopo, ebbe le proporzioni di una gigantesca manifestazione di forza. Ma non si è mai vista tanta gente piangere come ai funerali di Di Vittorio. Anche molti carabinieri del servizio d’ordine avevano le lacrime agli occhi. La cosa non stupiva. Di Vittorio non era stato solo il capo della Cgil e per lunghi anni un dirigente tra i più popolari del Pci: era diventato un uomo di tutti, stava nel cuore de