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L’assassinio di Pio La Torre. Lutto, commozione e rabbia

“Assassinato barbaramente da sicari mafiosi, Pio La Torre muore insieme al compagno Di Salvo che lo accompagnava. Stava recandosi in una sezione periferica del Pci. Muore sul campo, concludendo una vita dedicata esclusivamente alla causa dei lavoratori, del movimento operaio, del popolo siciliano. Un uomo all’antica si dice di lui. Figlio delle lotte per l’occupazione delle terre negli anni immediatamente successivi alla Liberazione. Lì inizia la sua battaglia contro la mafia e contro i soprusi, in una zona chiave della prepotenza e della violenza: Corleone; un paese che a dispetto dei suoi abitanti è noto solamente per la residenza di grossi boss mafiosi. Per la sua attività al fianco dei contadini siciliani La Torre conosce anche la galera, negli anni più duri della repressione autoritaria. Diviene, quindi un dirigente della Cgil di primo piano. Per poi mobilitare tutto il suo impegno in qualità di dirigente del Partito comunista italiano. Il suo ultimo incarico era di segretario regionale del Pci siciliano. Aveva avuto il compito di rilanciare l’iniziativa politica del suo partito. Sull’immensità dei problemi che si trovò ad affrontare, primeggiavano l’iniziativa per pace che ha visto in Sicilia un momento di grande mobilitazione e naturalmente quello della criminalità terroristica e mafiosa. Negli ultimi anni infatti il numero di assassinii contro personalità del mondo politico e giudiziario era cresciuto paurosamente. Il magistrato Scaglione, il colonnello Russo, il vicequestore Giuliano, il presidente Mattarella, il parlamentare Terranova sono le vittime più «illustri» di una sequela di attentati che dall’inizio degli anni ‘70 hanno fatto sussultare l’isola. Secondo l’ipotesi più accreditata si pensa che i motivi dell’assassinio siano da legare alla decisione e all’impegno che Pio La Torre ha dedicato in questi anni nella lotta alla mafia e contro gli interessi di ogni tipo - speculativi, legati alla droga, ai rapimenti - che i gruppi mafiosi perseguono in Sicilia e in particolare nel palermitano. La Torre diede un nuovo impulso a questa lotta tradizionalmente condotta dal movimento operaio e sindacale confermando un impegno fatto di lotta, di rischio personale così come stato per tanti militanti politici e sindacali. Tra cui quello di Salvatore Carnevale. Quando un uomo politico democratico della statura di Pio La Torre vie ne colpito, è un intero popolo a soffrirne, è questa nostra instancabile fede di democratici a soffrirne. Ma oggi, come in altre circostanze di questo tipo, dovremmo chiederci il perché. Sono fatti patologici, circoscrivibili a un mondo della malavita di stampo tradizionale, cioè legato ai traffici, al contrabbando, alla droga, ai rapimenti, che reagisce quando si sente attaccata e perseguita? O non si ravvede nel salto di qualità degli assassini mafiosi, una tendenza alla creazione di nuovi intrecci criminosi e di allargamento di sfere di attività e di legami internazionali? L’industria della droga rende miliardi, ad esempio. Non siamo più al contrabbando di sigarette, tipica attività della povera gente. L’industria dei rapimenti rende miliardi. Le speculazioni edilizie al cospetto appaiono sempre più cosucce da paese. Si tratta dunque di interessi di miliardi e miliardi di lire, che, una volta riciclati acquistano un peso finanziario notevole. Che cosa fu l’affare Sindona, se non la dimostrazione dell’intreccio esistente tra parte del mondo finanziario e interessi legati della mafia? Sono faccende che si riescono mai a dipanare dove le uniche cose note sono la lista degli assassinii. Forse se le forze del l’ordine, gli inquirenti, iniziassero a indagare da qui, si potrebbe arrivare a troncare gli anelli vitali di una catena di violenza, di soprusi, di sopraffazioni. Ha fatto dunque bene il ministro delle Finanze Formica, a denunciare l’aspetto finanziario del fenomeno mafioso e a proporre una riforma del segreto bancario che consenta agli inquirenti di acquisire fonti di informazioni sui traffici finanziari oscuri o poco puliti. La Cgil, il sindacato italiano, anche nelle ore di commozione sanno esprimere una volontà di lotta. Non dimentichiamo Pio La Torre, così come non dimenticheremo il nostro compito di lottare per la libertà, contro le violenze e i soprusi. Ricordiamo questi giorni di lutto per il movimento operaio come un monito a perseverare nella nostra battaglia di tutti i giorni e nel la nostra instancabile speranza per un avvenire  migliore”. 

Agostino Marianetti, «Rassegna Sindacale», 6 maggio 1982

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