Passa ai contenuti principali

Di Vittorio, il segretario che si prese cura del ragazzo orfano

Il primo maggio 1947, nei pressi della Piana degli Albanesi, vicino Palermo, durante la Festa del lavoro, gli uomini della banda di Salvatore Giuliano sparano sulla folla uccidendo 11 persone e ferendone molte di più (i dati variano da 30 a 60).
Margherita Clesceri di 47 anni, madre di sei figli e incinta, muore sul colpo. 
Anni dopo, a partire dal dicembre 1954, tra Giuseppe Di Vittorio, segretario generale della CGIL e Giorgio Moschetto, “figlio della compagna Clesceri Margherita, caduta (e non semplicemente morta!) a Portella della Ginestra” si tiene un fitto scambio di corrispondenza.
Le lettere,conservate presso l’Archivio storico CGIL nazionale e consultabili nella loro interezza all’interno del volume Caro papà Di Vittorio. Lettere al segretario della CGIL (a cura di Myriam Bergamaschi, Guerini e associati, 2008), ci svelano la personalità dell’uomo Di Vittorio, restituendoci l’immagine di un Segretario umano e raggiungibile, che si preoccupa, con solidarietà e solerzia, di un ragazzo rimasto orfano di madre troppo presto. 
Di fronte alle intemperanze ed alle critiche rivolte alla qualità della scuola frequentata sollevate dal giovane, Di Vittorio non nasconde il suo dispiacere, ma cerca di capirne le ragioni, proponendo un aiuto concreto: “Caro Giorgio - risponderà il 19 gennaio 1955 il segretario ad una lettera di lamentele ricevuta dal Moschetto poco meno di un mese prima - la tua lettera del 17 dicembre mi ha portato la tua amarezza e mi ha procurato non poco dispiacere. Non credo che tu abbia il diritto di esprimerti nei termini adoperati nei confronti dei dirigenti il Villaggio Sandro Cagnola che, a spese della CGIL, ti hanno educato e hanno provveduto al tuo sostentamento da quando è morta tua madre. Devi renderti conto che il Villaggio Sandro Cagnola è un ente a carattere educativo e non un ufficio di collocamento. Le difficoltà obiettive per la sistemazione di un giovane della tua età, senza libretto di lavoro e senza residenza nella città di Milano, rendono problematica la tua sistemazione. Ciò non toglie che non si debba e non si possa fare tutto il necessario perche la tua aspirazione di trovare un lavoro nella capitale lombarda possa essere soddisfatta”.
Il segretario generale della CGIL si assume pienamente e personalmente la responsabilità di questo come di altri ragazzi, scrivendo anche al padre, per informarlo dei suoi esiti scolastici (due volte l’anno la direzione della scuola informava direttamente il segretario della CGIL sull’andamento scolastico, sui risultati e sul comportamento degli ospiti inviati dalla Confederazione) e chiedendo a Mario Montagnana, segretario della Camera del lavoro di Milano di interessarsi alla vicenda del giovane. 
Confidando nel segretario, Rosario Moschetto, gli risponde: “Caro compagno Di Vittorio, in riferimento della tua lettera spedita il 29 ottobre 1954 che riguarda la situazione di mio figlio Giorgio Moschetto, in quanto mi fai presente sull’esito degli esami, già a te dati comunicazione, non puoi immaginare la mia soddisfazione ricevuta da tue notizie. Caro compagno come spiega la tua indimenticabile lettera son contento a tutto ciò che tu fai. Per tanto lascio a te di fare tutto ciò che è necessario di mio figlio Giorgio riguardando il lavoro e il tuo pensiero che il tuo interesse e generale. Ora termino di scrivere con la penna ma il mio pensiero rivolto a te compagno Di Vittorio inviandoti i più fraterni saluti a te e ai compagni. In attesa della tua azione mi scusi tanto se non so ben spiegare in qualche parola. Sono per sempre il caro compagno Moschetto Rosario. Ricevi i più can saluti dal compagno Michele Sala”.
Emerge da questa corrispondenza una grande e forse per certi versi singolare umanità, che si palesa in una straordinaria freschezza e sincerità di rapporti tra il centro e la periferia, il vertice e la base.
Per le testimonianze che contengono, per le dimostrazioni che offrono, i materiali descritti costituiscono le tessere di un mosaico che ci consente di disegnare un ritratto a tutto tondo di ciò che Di Vittorio è stato nel corso della sua vita, gettando qualche nuovo fascio di luce su questioni remote di cui è stato attore e, splendidamente umano, protagonista.

Ilaria Romeo, «l'Unità», 28 aprile  2017, p. 3

Commenti

Post popolari in questo blog

Perché l’umanità ha sempre avuto paura delle donne che volano, siano esse streghe o siano esse libere

Ve le ricordate “le due Simone”? Simona Pari e Simona Torretta, rapite nel 2004 a Baghdad nella sede della Ong per cui lavoravano e rientrate a Fiumicino dopo cinque mesi e mezzo di prigionia. “Oche gulive” le definì un giornale (volutamente con l’articolo indeterminativo e la g minuscola!) commentando il desiderio delle due ragazze di ritornare alla loro vita normale precedente il rapimento. E Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, le due ragazze italiane rapite in Siria più o meno dieci anni dopo, ve le ricordate? Ve le ricordate ancora Carola Rackete, Greta Thunberg, Laura Boldrini, da ultima Giovanna Botteri? Cosa hanno in comune queste donne? Probabilmente tante cose, probabilmente nulla, ma una è talmente evidente da non poter non essere notata: sono state tutte, senza pietà e senza rispetto, lapidate sul web. Perché verrebbe da chiedersi? E la risposta che sono riuscita a darmi è solamente una: perché sono donne indipendenti, nel senso più vero ed intimo della parola. An

Franca Rame, Lo stupro

C’è una radio che suona… ma solo dopo un po’ la sento. Solo dopo un po’ mi rendo conto che c’è qualcuno che canta. Sì, è una radio. Musica leggera: cielo stelle cuore amore… amore… Ho un ginocchio, uno solo, piantato nella schiena… come se chi mi sta dietro tenesse l’altro appoggiato per terra… con le mani tiene le mie, forte, girandomele all’incontrario. La sinistra in particolare. Non so perché, mi ritrovo a pensare che forse è mancino. Non sto capendo niente di quello che mi sta capitando. Ho lo sgomento addosso di chi sta per perdere il cervello, la voce… la parola. Prendo coscienza delle cose, con incredibile lentezza… Dio che confusione! Come sono salita su questo camioncino? Ho alzato le gambe io, una dopo l’altra dietro la loro spinta o mi hanno caricata loro, sollevandomi di peso? Non lo so. È il cuore, che mi sbatte così forte contro le costole, ad impedirmi di ragionare… è il male alla mano sinistra, che sta diventando davvero insopportabile. Perché me l

Nel suo volto la storia dei cafoni

Pepite d’Archivio: ancora Gianni Rodari su Giuseppe Di Vittorio in un NUOVO, bellissimo testo da leggere tutto d’un fiato. Il brano, recuperato da Ilaria Romeo (responsabile dell’Archivio storico CGIL nazionale che lo conserva)  è tratto da «Paese Sera» del 3 novembre 1977 “Il 3 novembre del 1957 moriva a Lecco, dove si era recato per inaugurare la sede della Camera del lavoro, Giuseppe Di Vittorio. Ricordo la commozione di quelle ore, mentre la salma veniva trasportata a Roma per i funerali. Ricordo quei funerali. Roma ne ha conosciuti di più grandiosi. Quello di Togliatti, anni dopo, ebbe le proporzioni di una gigantesca manifestazione di forza. Ma non si è mai vista tanta gente piangere come ai funerali di Di Vittorio. Anche molti carabinieri del servizio d’ordine avevano le lacrime agli occhi. La cosa non stupiva. Di Vittorio non era stato solo il capo della Cgil e per lunghi anni un dirigente tra i più popolari del Pci: era diventato un uomo di tutti, stava nel cuore de