Passa ai contenuti principali

Il Primo maggio di Giuseppe Di Vittorio

Se la celebrazione del Primo maggio diviene, ogni anno, più grandiosa nel mondo gli è perché il suo significato esprime le aspirazioni più profonde e più vive dell’uomo. Il Primo maggio, infatti, esalta la potenza del lavoro e le priorità e la nobiltà della sua funzione nella vita d’ogni società umana. In pari tempo, questa giusta esaltazione pone in maggior luce l’ingiustizia rivoltante del fatto che, in tanta parte del mondo, il lavoro non è libero, essendo sottoposto al giogo del capitale e subordinato alla legge barbarica del profitto di pochi, a detrimento di tutti. Non essendo libero, il lavoro non può espandersi, secondo i crescenti bisogni dell’uomo; non può utilizzare tutta la sua potenza creatrice, per soddisfare le incessanti esigenze di vita e di progresso dell’umanità. Ogni possibilità di lavoro e di produzione è condizionata e limitata dalla convenienza o meno dei detentori del capitale, dei loro trust, dei loro monopoli.
Di qui, le mostruosità inumane del sistema capitalistico: immense estensioni di terre incolte o malcoltivate e masse enormi di braccianti disoccupati; fabbriche che si chiudono e milioni di famiglie prive dei prodotti più necessari; tonnellate di grano buttate a mare - per mantenere elevati i prezzi - e milioni di uomini e di donne e di bambini che scarseggiano o mancano del pane. Da questo sistema di predominio del capitale, da questo sistema di sfruttamento dell’uomo sull’uomo, sorgono le crisi, la disoccupazione, la miseria, di cui soffrono le popolazioni. Da questo sistema d’ingiustizia e di sopraffazione, sorgono le cupidigie e le brame di rapina dei grandi monopoli su altri Paesi, su altri mercati, su altre fonti di materie prime. Di qui, sorgono le guerre imperialistiche, coi loro inseparabili e terribili cortei di massacri, di distruzioni, di lutto, di carestia. Il Primo maggio, pertanto, i lavoratori del mondo intero, celebrando la potenza invincibile del lavoro, rivendicando il loro diritto alla conquista di migliori condizioni di vita riaffermano la loro volontà collettiva di accelerare la marcia verso l’emancipazione del lavoro, che libererà tutta l’umanità dal timore delle crisi, dalla paura della fame, dall’incubo della guerra, ed aprirà ad essa la via radiosa del benessere crescente e d’un più alto livello di civiltà.
Il lavoro è creatore di beni; il lavoro eleva gli uomini, li rende migliori e li affratella; il lavoro è pace. Il Primo maggio, i lavoratori d’Italia e del mondo, esaltando il lavoro, ribadiscono la loro volontà di pace e riconfermano solennemente il Patto della loro solidarietà internazionale al disopra d’ogni frontiera di nazioni, di sistemi politici e sociali di razze e di religioni. Tutti fratelli gli uomini e le donne del lavoro!

All’alba di Maggio sorridono, quest’anno, fondate speranze di distensione internazionale e di costruzione d’una pace stabile. Ma i grandi monopoli, profittatori di guerra, non disarmano. Essi confessano d’aver paura della pace, avendo fondato le loro fortune sulla guerra.
Di fronte a questi vampiri, che vogliono dividere ad ogni costo il mondo in blocchi nemici, per fomentare l’odio e la guerra, i lavoratori d’Italia manifestano il Primo maggio la loro volontà di difendere ad ogni costo la pace e di rinsaldare la loro fraternità coi lavoratori dell’Unione Sovietica e di tutti i Paesi del mondo.
Il Primo maggio è anche una giornata di rassegna delle forze organizzate del lavoro, di bilancio dei risultati conseguiti dalle loro lotte, di precisazione delle prospettive della loro marcia in avanti.
Due fatti positivi sono da registrare: le forze della grande CGIL sono intatte e in pieno sviluppo; nuovi miglioramenti, anche se lievi, sono stati strappati, in favore dei lavoratori.
Ma è troppo poco. Le condizioni di vita dei lavoratori italiani sono tuttora misere, intollerabili. Bassi salari, insufficienti prestazioni previdenziali e il flagello della disoccupazione, sono tuttora i principali fattori delle privazioni e della miseria di cui soffrono i lavoratori, e che continuano a restringere il mercato interno, a ripercuotersi negativamente sulla produzione, ad intristire l’economia nazionale.
I ceti privilegiati e il Governo, lungi dall’accogliere le proposte concrete avanzate dal Congresso confederale di Napoli, dirette a promuovere un grande sviluppo della produzione e la piena occupazione, si sono posti sulla via del loro predominio assolutista sulla vita del Paese, sulla via della reazione e della guerra.
L’attacco sferrato dal grande padronato e dal Governo contro il diritto di sciopero e contro tutte le libertà democratiche del popolo; la disciplina terrorista imposta ai lavoratori in numerose fabbriche, hanno lo scopo di curvare i lavoratori e di sottoporli ad uno sfruttamento sempre più intenso, per addossare loro le crescenti spese improduttive del riarmo e della crisi economica.
Ma su questa via, il Governo e le classi dirigenti non potranno che aggravare la situazione economica e politica, e acutizzare i contrasti, esporsi ad amare delusioni. I lavoratori italiani non si piegano.
Mentre tutte le bandiere dei nostri sindacati unitari sventolano al sole di maggio, i lavoratori dei settori decisivi del lavoro italiano - dell’industria, dell’agricoltura, del pubblico impiego, ecc. - sono in agitazione, per una serie di rivendicazioni economiche, urgenti e improrogabili. A queste, sono intimamente legate la difesa del diritto di sciopero e di tutte le libertà democratiche garantite dalla Costituzione.
Il Primo maggio, ribadendo le proprie rivendicazioni più urgenti, una parola d’ordine si leverà da tutte le piazze: Avanti, sempre più avanti, sulla via della conquista di migliori condizioni di vita e della difesa vigorosa e inflessibile del diritto di sciopero, del lavoro, della libertà, della pace, verso la conquista d’un avvenire migliore, per il popolo e per l’Italia!
Un’occasione non frequente si presenta prossimamente ai lavoratori italiani per sconfiggere la reazione e la guerra: le elezioni politiche del 7 giugno. Il Comitato direttivo della CGIL ha fissato la sua posizione, sulle prossime elezioni. Fate che una copia della nostra risoluzione giunga in ogni casa. La posta in giuoco è grossa.
Nella misura in cui i lavoratori d’ogni opinione politica e fede religiosa comprenderanno il significato di queste elezioni, voteranno con noi, contro i partiti della coalizione governativa e contro i partiti neo fascisti e monarchici che rappresentano la coalizione del grande padronato, schierata contro le rivendicazioni più sentite e le aspirazioni più profonde del popolo. Tutti i lavoratori voteranno con noi, coi partiti del lavoro, della libertà e della pace.
La festa del lavoro sia la festa dell’unità, dell’amicizia, della fiducia. L’avvenire è del lavoro e dei lavoratori.
L’umanità vuoi vivere e progredire nella pace, nella libertà, nella fraternità. Solamente il trionfo delle forze del lavoro potrà soddisfare appieno queste esigenze imperiose dell’umanità.
Da tutte le piazze d’Italia parta, il Primo maggio, il saluto fraterno dell’Italia che lavora ai lavoratori del mondo intero, quale pegno di solidarietà e di pace!


Giuseppe Di Vittorio, «Lavoro», n. 17, 26 aprile 1953



Commenti

Post popolari in questo blog

Perché l’umanità ha sempre avuto paura delle donne che volano, siano esse streghe o siano esse libere

Ve le ricordate “le due Simone”? Simona Pari e Simona Torretta, rapite nel 2004 a Baghdad nella sede della Ong per cui lavoravano e rientrate a Fiumicino dopo cinque mesi e mezzo di prigionia. “Oche gulive” le definì un giornale (volutamente con l’articolo indeterminativo e la g minuscola!) commentando il desiderio delle due ragazze di ritornare alla loro vita normale precedente il rapimento. E Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, le due ragazze italiane rapite in Siria più o meno dieci anni dopo, ve le ricordate? Ve le ricordate ancora Carola Rackete, Greta Thunberg, Laura Boldrini, da ultima Giovanna Botteri? Cosa hanno in comune queste donne? Probabilmente tante cose, probabilmente nulla, ma una è talmente evidente da non poter non essere notata: sono state tutte, senza pietà e senza rispetto, lapidate sul web. Perché verrebbe da chiedersi? E la risposta che sono riuscita a darmi è solamente una: perché sono donne indipendenti, nel senso più vero ed intimo della parola. An

Franca Rame, Lo stupro

C’è una radio che suona… ma solo dopo un po’ la sento. Solo dopo un po’ mi rendo conto che c’è qualcuno che canta. Sì, è una radio. Musica leggera: cielo stelle cuore amore… amore… Ho un ginocchio, uno solo, piantato nella schiena… come se chi mi sta dietro tenesse l’altro appoggiato per terra… con le mani tiene le mie, forte, girandomele all’incontrario. La sinistra in particolare. Non so perché, mi ritrovo a pensare che forse è mancino. Non sto capendo niente di quello che mi sta capitando. Ho lo sgomento addosso di chi sta per perdere il cervello, la voce… la parola. Prendo coscienza delle cose, con incredibile lentezza… Dio che confusione! Come sono salita su questo camioncino? Ho alzato le gambe io, una dopo l’altra dietro la loro spinta o mi hanno caricata loro, sollevandomi di peso? Non lo so. È il cuore, che mi sbatte così forte contro le costole, ad impedirmi di ragionare… è il male alla mano sinistra, che sta diventando davvero insopportabile. Perché me l

Nel suo volto la storia dei cafoni

Pepite d’Archivio: ancora Gianni Rodari su Giuseppe Di Vittorio in un NUOVO, bellissimo testo da leggere tutto d’un fiato. Il brano, recuperato da Ilaria Romeo (responsabile dell’Archivio storico CGIL nazionale che lo conserva)  è tratto da «Paese Sera» del 3 novembre 1977 “Il 3 novembre del 1957 moriva a Lecco, dove si era recato per inaugurare la sede della Camera del lavoro, Giuseppe Di Vittorio. Ricordo la commozione di quelle ore, mentre la salma veniva trasportata a Roma per i funerali. Ricordo quei funerali. Roma ne ha conosciuti di più grandiosi. Quello di Togliatti, anni dopo, ebbe le proporzioni di una gigantesca manifestazione di forza. Ma non si è mai vista tanta gente piangere come ai funerali di Di Vittorio. Anche molti carabinieri del servizio d’ordine avevano le lacrime agli occhi. La cosa non stupiva. Di Vittorio non era stato solo il capo della Cgil e per lunghi anni un dirigente tra i più popolari del Pci: era diventato un uomo di tutti, stava nel cuore de